Davide parla poco inglese. Non so poi quanto effettivamente non capisca e quanto faccia finta. O forse, semplicemente, si accomoda, visto che io invece lo parlo molto bene.
Il fatto è che, vuoi per il suo aspetto (biondo, occhi azzurri), che non lo fa immediatamente identificare come italiano; vuoi perché è un uomo, quando siamo all’estero tutti si rivolgono sempre a lui, per qualsiasi cosa. Gli hanno pure chiesto le indicazioni stradali a Copenhagen. In danese.
Tra le cose che gli chiedono più spesso è se gentilmente può fare una foto alla coppietta di turno, o a chi viaggia da solo. Questo, nonostante io sia in giro con la reflex e tre obiettivi, e lui con le mani in tasca. Ma tant’è.

Nuovi vocaboli nel dizionario
La scena ha luogo a Lanzarote, nello splendido Jardin de Cactus. Stiamo tranquillamente passeggiando e ammirando le piante, così sapientemente immerse nel contesto vulcanico dal grande artista locale Cesar Manrique.


Si avvicina un ragazzo, da solo, con la sua macchina fotografica, e va da Davide. Esordisce così:
Sorry?
E io ho già capito che questo ragazzo è italiano. Solo noi italiani utilizziamo la parola “sorry” invece che “excuse me” per introdurre una conversazione. Come diceva la mia professoressa delle medie: dici “excuse me” per passare sull’autobus e “sorry” se pesti i piedi a qualcuno.
Vabbè, penso, adesso se ne accorgono e si fanno una risata, poi inizieranno a parlarsi in italiano. E invece no. Il ragazzo continua imperterrito
can you make a photo?
Dai, glielo dico, non posso lasciarli continuare. Ma poi penso che sarà una scenetta molto divertente, e allora resto ad assistere senza dire una parola. Infatti, Davide risponde in inglese.
Il ragazzo gli consegna la fotocamera, cercando di spiegare, sempre in inglese, come funziona, mentre Davide risponde solo dicendo “yeah”
Il ragazzo si mette in postazione, pronto a farsi scattare, la foto, poi ha un ripensamento e dice a Davide:
Can you take the… (si gira)… can you take the…. the… the… MULIN?

Can you take the mulin. Chiaro, se uno non lo sa, che si dice mill, improvvisa e usa la tecnica del togliere l’ultima lettera alle parole italiane. Ma il bello è che Davide, neanche dopo “mulin” si rende conto che sta parlando con un connazionale:
yes, the mulin. Ok, now I count… 1,2,3…
E scatta. Ne scatta un’altra, per sicurezza, mentre io me la rido sotto i baffi. Quando ha finito, e si ringraziano a vicenda, mi avvicino e gli dico: Davide, guarda che era italiano! Ma lui mica ci crede.
Perché, secondo te MULIN è una parola inglese? Non te ne sei accorto nemmeno dall’accento? Vi siete parlati dieci minuti, proprio niente niente???
Eh no, e comunque tu sei proprio una maledetta, ce lo potevi dire! Ho fatto una fatica pazzesca a parlargli in inglese!
Come no, così mi perdevo tutto il divertimento!